sabato 24 luglio 2010

“NICHI?.... È figlio di Berlusconi.


UN PRODOTTO DEL BERLUSCONISMO”
di Wanda Marra
“Vendola? D’altra parte l’ha detto anche lui. Io invece faccio dei ragionamenti politici per i quali si richiede... una certa applicazione. Ho un target un po’ alto”.
Alla fine del dibattito di mercoledìsera alla Festa democratica di Roma, Massimo D’Alema, chiacchierando con un paio di giornalisti finalmente si lascia andare. Senza paura di apparire superbo ed elitario.
D’altra parte il suo intervento è stato tutto un dialogo, anzi un duello, a distanza con il governatore della Puglia.
Un controcanto costante, a volte esplicito e a volte tenuto sotto traccia, allo stile e alle parole vendoliane.
Perché “la politica non si fa col racconto, con il linguaggio, con la letteratura
con la poesia. Ma con i contenuti.
Anche perché peraltro abbiamo poeti migliori che battono le piazze”.Perché la politica “non si fa con i simboli”,come risponde a chi gli chiede perché il Pd non abbia sostenuto il referendum alla privatizzazione dell’acqua (una delle bandiere di Vendola).
Ma la stoccata principale il Lìder Maximo probabilmente la dà con la sua analisi della discesa in campo di Berlusconi che legge come il risultato di lasciare indietro i partiti e la professionalità politica: perché il Cavaliere “è stato
il maggior prodotto della società civile”.La candidatura di Vendola a leader del centrosinistra evidentemente ha sparigliato parecchio, creando non pochi malumori.
D’Alema l’ha presa come una sfida personale, dopo la battaglia persa in Puglia sulle primarie. E mercoledì sera – intervistato sul palco da Corradino Mineo sceglie uno stile che più d’alemiano non potrebbe essere: parla di crisi e di economia, di disparità Nord-Sud, di legge elettorale, delle stragi di mafia e di lavoro.Non si lascia andare ad immagini, utilizza la razionalità come lettura della realtà, come lama per affondare nelle incongruenze altrui. Non cerca l’applauso, né l’approvazione facile. Più altezzoso che mai,comunque parla ai suoi, prova ancora a detta la sua linea.
La platea - lo spazio dibattiti è pieno, molti rimangono in piedi - è attenta, non si infiamma, ma non si distrae, cerca un’indicazione, una strada,una prospettiva. Sottolinea i passaggi cruciali con un silenzio di concentrazione e con brevi applausi. Sembra aspettare. Ma in qualche modo appare anche smarrita, disillusa. Mentre lui si lancia in una delle sue analisi di scenario politico, nel pubblico un commento colpisce. “Non è lui l’Italia”, sospira una vecchia militante, mentre si sventola con il ventaglio.
E un’altra, accanto a lei. “Sì, ma non lo è neanche Vendola”.D’Alema, comunque, la sua la dice: “Se il governo cade è molto probabile che si vada alle elezioni perchè Berlusconi le vuole molto più di Di Pietro. Però a mio giudizio sarebbe più giusto un governo di transizione con chi ci sta, come nel '94”. E boccia però come “una aberrazione” la proposta di Casini che Berlusconi possa essere il premier di un governo tecnico: Noi non sappiamo se il governo cadrà ma credo che più diciamo che se Berlusconi cade si va alle elezioni, più puntelliamo Berlusconi”. Tradotto: alle elezioni adesso Baffino non ci vuole andare. E poi, a proposito della situazione politica: “Siamo alla scena della caduta dell’impero romano e dobbiamo affrontare una fase nuova ed è per creare un nuovo scenario democratico che ho un intenso lavoro di dibattito con Fini. Fini è Fini”.Le due signore col ventaglio si avvicinano per sentire meglio.
Lui dice: “A me interessa un dialogo con la destra democratica e non per fare di Fini l’ennesimo candidato leader del centrosinistra”. E loro: “Vabbè, che D’Alema era di destra lo sapevamo”. Nella sua battaglia a distanza con Vendola, D’Alema alla fine dell’intervento non esita a indicare la sua alternativa: “Ai vertici del partito e come amministratori sta emergendo una giovane classe dirigente che è in grado di prendere le redini del governo del Paese”.E, primo su tutti, cita Nicola Zingaretti.